Le analogie tra macchina fotografica e occhio umano sono molteplici e può essere interessante provare a fare delle comparazioni: da quelle tra iride e diaframma per regolare l’intensità della luce, tra cristallino ed obiettivo per la messa a fuoco, e tra retina e sensore (se parliamo di fotografia digitale) per raccogliere le immagini esterne. Ma ha senso fare un esercizio per capire quanto effettivamente sia la risoluzione di un occhio umano rispetto alle più moderne macchine fotografiche? Una gara tra tecnologia e natura. Forse no, ma si possono imparare molte cose sulla nostra percezione della realtà e sul nostro “guardare”.
La risoluzione da sola non basta, per essere effettiva deve infatti andare di pari passo con la definizione e la nitidezza dell’immagine. Immaginiamo ad esempio di fare delle foto sfocate o mosse con una macchina moderna da 40 megapixel, avremo un’altissima risoluzione, ma una qualità inutilizzabile. Allo stesso modo l’occhio umano sconta diversi difetti a cui però la “tecnologia” dell’evoluzione ha rimediato.
Prendiamo un normale occhio umano con un blando difetto visivo, come una bassa miopia. Possedendone due di occhi avremo una visione del mondo stereoscopica e quindi tridimensionale, sempre tra gli stessi due occhi ci sarà il nostro naso visibile (fateci caso) e sul naso magari degli occhiali correttivi, anche loro visibili. A questo poi aggiungiamo un punto cieco dovuto all’innesto del nervo ottico nella nostra retina in cui non ci sono “sensori” capaci di raccogliere la luce che arriva dall’esterno: descritta in questo modo la situazione sembrerebbe un disastro. Chi comprerebbe una macchina fotografica con questi difetti, a parte il divertimento di vedere e riprendere in tre dimensioni? Ma il nostro occhio non fa foto, è uno organo complesso che riceve continuamente informazioni dall’esterno, interpretandole, filtrandole con il supporto di un sofisticatissimo elaboratore che è il cervello. Oltre naturalmente a riconoscere, interpretare e gestire volti e situazioni, questo “censura” nasi, montature degli occhiali. integra le visioni dei due occhi e rispettivi punti ciechi. Ottimizza le situazioni di bassa luminosità e gestisce differenze di quantità di luce che farebbero impazzire qualsiasi fotocamera: probabilmente avrete fatto caso di come la nostra macchina fotografica non sia in grado di “vedere” in zone di ombra quando fotografiamo zone luminose e viceversa, I nostri occhi invece sì, questo perché il nostro cervello con continue misurazioni e valutazioni “post-produce” le differenti informazioni di luce che raccoglie ricostruendo una immagine “completa” al suo interno.
Vi siete poi fermati a riflettere su che forma abbia il nostro sguardo? Sempre tornando ad un parallelismo con fotocamera, in fotografia si dice che un obiettivo 50mm ha più o meno lo stesso angolo di campo (angolo visuale) del nostro occhio, circa 46 gradi, tanto da farlo chiamare il “normale”. Ma forse neanche questo è esattamente vero. Un 50mm è in grado di restituirci la stessa proporzione e distanza dalla realtà che abbiamo intorno. Di fatto vediamo molto più di 46 gradi, altrimenti non si parlerebbe ironicamente della “coda dell’occhio” per indicare percezioni di movimenti o soggetti al di fuori nel nostro campo visivo. I 46 gradi sono l’angolo di campo visivo utile di un singolo occhio. Per capire meglio facciamo un esperimento, guardiamo davanti a noi e cerchiamo di definire la forma della nostra vista. Non ha sicuramente la forma di un fotogramma e non è neanche tonda. Chiudendo un occhio, guardando fisso con l’altro davanti a noi e spostando il nostro pollice con il braccio teso davanti a noi da un punto centrale verso l’esterno, vedremo il dito scomparire per colpa sempre del “punto cieco”. Se facciamo ancora più attenzione ci accorgiamo che la nostra effettiva qualità visiva è molto ridotta: se state leggendo questo testo sul monitor, vedrete con una accettabile qualità in una zona di circa il 40%-50% del vostro campo visivo, mentre il vostro fuoco e l’effettiva nitidezza di immagine copriranno solo l’area della parole che state leggendo in questo momento, a malapena un 10% dello stesso campo. Il merito in questo caso è dell’unica parte del “sensore” del nostro occhio effettivamente sensibile ai colori, questa minuscola area presente nella retina si chiama fovea, e ha un diametro di circa 1,5 millimetri con una concentrazione di recettori di qualità, non presenti in altre aree.
Altra notizia sconvolgente: il nostro sensore, cioè la retina ha una quantità di “pixel” superiori a qualsiasi sensore digitale. Li calcoliamo in un numero intorno 130 milioni di recettori, o ragionando in digitale 130 Megapixel, tanti da far impallidire qualsiasi costosissima reflex digitale. Ma appena andiamo a vedere nel dettaglio la “qualità” di questi recettori potremo rimanere assai delusi. Solo circa 6 milioni di questi sulla retina sono coni, capaci di vedere i colori, i restanti 124 milioni sono bastoncelli, destinati alla visione notturna o con bassa luce, ma ahimè raccolgono solo informazioni in bianco e nero. Potremo addirittura arrischiarci ad affermare che la maggior parte della nostra visione è quantitativamente in bianco e nero. In pratica, solo nella fovea, come dicevamo, si ha la più alta concentrazione di coni senza nessuna presenza di bastoncelli, nel resto dell’occhio i due tipi di recettori coesistono insieme, con una enorme preponderanza di bastoncelli.
Riepiloghiamo. Abbiamo un sensore che per lo più vede in bianco e nero, con un qualità di definizione raccolta solo nel centro in un area assai ridotta, una grande capacità di raccogliere informazioni al buio e di rilevare grandi contrasti di luce e con un campo visivo di attenzione molto più vasto di un grandangolo fotografico spinto. In tutto questo la vita ci scorre davanti non per singoli fotogrammi ma come un film in cui noi decidiamo continuamente fuoco, inquadratura e attenzione, il tutto mediato da un cervello che raccoglie, elabora ed interpreta informazioni di luce, ambientali, giudicando la percezione della realtà mediata dal nostro modo di essere, sentire, dal nostro stato d’animo o dal nostro interesse del momento.
Dimenticavo. La risposta alla domanda iniziale è comunque circa 7 Megapixel, la risoluzione effettiva di un occhio umano. Numero di per sé non molto interessante se non valutato insieme al lavoro congiunto di occhio e cervello. L’occhio infatti è solo una finestra comandata dal nostro cervello (e aggiungerei cuore) verso l’esterno. Registrare le immagini di per sé non serve a nulla se non sentiamo quello che vediamo. E qui l’analogia con una fotografia è ancora più forte: occhio e fotocamera senza un’umanità di giudizio, di sentimenti e di critica sono e restano nient’altro che due meri strumenti di raccolta della luce.