Sono ormai quasi 10 anni che la fotografia digitale è presente in maniera sempre più prepotente nella nostra vita, amplificata dall’uso di internet e dei social media: tutti abbiamo un telefono che scatta foto in buona qualità, filtri che le rendono gradevoli e possibilità di condivisione pressoché immediate.
Le nuove generazioni fotografiche hanno sempre meno percezione del valore di una foto stampata, o sta su internet o non esiste.
Sicuramente si risparmiano la tortura, probabilmente mai vissuta, di andare a casa di parenti ed amici a vedere foto o diapositive del loro ultimo matrimonio o viaggio, ma in questo modo i ricordi vengono sempre più archiviati e selezionati in maniera scomposta e disordinata. Chi di voi tiene un album di famiglia con foto aggiornate? Ogni tanto appendiamo qualcosa a casa o lo mettiamo dentro una cornice elettronica che cicla i ricordi, ma anche lei in maniera disordinata.
La pellicola non è sicuramente morta, ma non si sente tanto bene, soffocata come è dalla concorrenza, dalla facilità e dai costi ridotti del digitale. Ma nell’ultimo periodo stanno emergendo sul mercato numerosi mezzi alternativi che mostrano gli albori di una volontà in controtendenza di conservare “pezzi di carta”, selezionando effettivamente quello che ci interessa tenere stampato per importanza emotiva, da quello che invece ci accorgiamo essere inutile.
Si stanno, per esempio, diffondendo stampanti fotografiche compatte collegate in wifi con il proprio telefono, tablet, computer o macchina fotografica che stampano qualsiasi cosa gli mandiamo in ottima qualità su carta fotografica e a costi bassi.
Ma ancora più interessante è come le vecchie e care pellicole Polaroid, estinte nel 2009, si stiano prendendo una costosissima vendetta sui consumatori che le hanno seppellite per la rassicurante freddezza del digitale. Molti di noi sono cresciuti con le Polaroid: scattavi, estraevi, sventolavi e l’immagine appariva come per magia. Potevi scriverci sotto, erano pezzi unici, ricordi da litigare con gli amici per averli, non dovevi portarli a sviluppare: per molto tempo divennero un mezzo per avere ricordi anche “intimi” di vita di coppia, senza doversi vergognare ritirando le foto in negozio. Il digitale le ha uccise. Si può fare la stessa cosa, con costi ancora più bassi, e per di più condividendola, la stessa foto la ho io e le altre 4 persone che sono state in vacanza con me. Con una unica differenza, a nessuno viene solitamente in mente di stamparla. E’ sì stampabile, ma forse, poi, chissà… e intanto si scatta e si fa della fotografia un fatto statistico. Scatto a casaccio 30 foto di una situazione, qualcosa di buono verrà. Le “lancio” su internet, qualcuno mi dirà quale è la foto buona, che piace, che la posso ricordare. E comunque stanno lì, creando album virtuali per il voyeurismo e la curiosità dei tanti sconosciuti amici di Facebook.
L’idea della fotografia istantanea da conservare sta lentamente riprendendo piede. L’Impossible Project, nato nel 2010 sulle ceneri di una vecchia fabbrica della Polaroid in Olanda per volontà di un gruppo di indomiti nostalgici con vena imprenditoriale, produce pellicole per qualsiasi tipo di vecchio cimelio Polaroid rimasto in un armadio di tante famiglie di tutto il mondo. Il tutto a costi sicuramente non invitanti: una pellicola da 8 scatti costa quanto rullino, sviluppo e stampa di una pellicola classica da 36 pose. La qualità non è sicuramente paragonabile alla fotografia analogica o digitale realistica, anche se negli anni sta migliorando. Avremo 8 scatti “unici” in bianco e nero o a colori, rifotografabili ma non riproducibili nella loro unicità, un po’ sbiaditi, stile filtro Instagram, ma con un indubbio fascino artigianale e di sorpresa da risultato. Una seconda e ancor più sorprendente vita poi la sta vivendo, e lo vediamo sempre più spesso nei negozi, il sistema Instax della FujiFilm. Progetto emulo delle Polaroid, lanciato nel 1999 e mai interrotto, ma quasi sconosciuto all’epoca se paragonato alla diffusione delle istantanee storiche. Nell’ultimo anno hanno riguadagnato fette di mercato sia per la qualità offerta, che per i costi relativamente contenuti di macchine e pellicole.
Anche se il prezzo è leggermente più contenuto, quando sai che lo scatto costa, cominci a guardare la statistica con antipatia e fai in modo che quello scatto abbia davvero un valore. La fotografia ferma sì il tempo, qualsiasi tempo. La poesia sta nello scegliere quale dei tanti possibili attimi fermare. 8 scatti possono durare allora una eternità e posso scoprire che forse le cose effettivamente da ricordare, pur scattando nello stesso mondo, non sono così tante ed importanti.
Tutto questo potrebbe anche frutto di una moda o di un marketing ben riuscito. Forse molti sono alla ricerca di qualcosa di più intimo, privato e di valore (nonostante i mezzi relativamente primitivi), rispetto alla diffusione massiccia del digitale: qualsiasi cosa ormai scatta foto. Un ritorno ad una visione romantica, poetica e tangibile dell’immagine può invece fare bene alla fotografia. Anche quando stampiamo con il digitale, non stampiamo tutto, ma solo una selezione di quello a cui teniamo veramente, e che vogliamo tenere con noi. Poi magari lo rifotografiamo stampato e lo ricondividiamo su internet. Quello ormai è un vizio difficile a far passare. Si pensi a riguardo che vengono caricate in tutto il mondo 250.000 immagini ogni minuto solo Facebook. In questo contesto poter dire che “una fotografia vale più di mille parole” diventa veramente un paradosso.
Fate un esperimento: Prendete un ventenne a caso e fategli una foto istantanea e lui griderà al miracolo. Sarà probabilmente rassicurato da come la tecnologia stia avanzando a passi da gigante, ma anche sorpreso di come una foto stampata sia un qualcosa di unico che si può appendere in stanza e guardare senza accenderla… e magari un giorno si comprerà anche un album.
[Articolo pubblicato su Fermo Immagine – Rainews l’11 Settembre 2014]