Chi fa fotografia per passione o per professione, o chi la fa per entrambe, conosce molto bene come l’occhio e la mente cambiano registro quando si ha in mano una reflex.
Il registro mentale ed emozionale cambia, si vedono cose e situazioni che senza macchina difficilmente verrebbero colte. Si osserva invece di guardare, si osserva con angoli e prospettive diverse cercando il particolare, l’originale, una propria interpretazione della realtà, che molto spesso realtà non è, ed esiste solo dentro di noi.
Il fotografo quasi sempre e’ un viaggiatore spazio-temporale. Si disloca mentalmente in una posizione senza spostarsi, immaginando come potrebbe essere l’angolo di ripresa da quella visuale o da visuali vicine. Questo esercizio mentale permette di immaginare le prospettive, le sovrapposizioni, il contesto di una precisa situazione e permette di saggiare preventivamente quale potrebbe essere la posizione giusta per raccogliere l’idea della realtà immaginata. Solo allora si sposta e verifica se quell’idea ha una corrispondenza. Ma il fotografo è anche un viaggiatore temporale, spesso lo scatto è visto prima che si verifichi un particolare accadimento, solo così è possibile cogliere quell’attimo di presente che deve ancora avvenire.
Anticipare mentalmente gli eventi, immaginare quello che potrebbe accadere osservando quello che accade. Tutti i sensi sono tesi alla ricerca, ad accarezzare visivamente un qualcosa che ancora non è, ma potrebbe essere. Si vede qualcuno avvicinarsi, si studia la prospettiva migliore, si sceglie in base a quella prospettiva il posizionamento che dovrà avere il soggetto all’interno di quella prospettiva e solo allora ci sposta e si verifica, se l’idea mentale corrisponde con il reale si scatta o ci si adatta ad eventuali errori di valutazione, cercando di ottimizzare al meglio quello che diventa presente. E per fare questo ci si stacca di fatto dalla realtà entrando in una dimensione personale dove il tempo rallenta, tutti i sensi sono concentrati a cogliere senza distrazioni la nostra idea di presente con uno sguardo al nostro passato.
L’amore per la fotografia si alimenta anche da queste variabili, dal cercare di far collimare stati d’animo e visivi personali con quello che la realtà ci offre, una sorta di caccia creativa in cui l’elemento personale, culturale ed emotivo, è sempre presente e prevalente. Stati d’animo conosciuti o perchè vissuti o perchè attuali. Riconoscere noi stessi negli altri e nelle situazioni che accadono. Far collimare il presente con noi stessi. Riconoscervi le proprie attitudini, le nostre gioie, le nostre sofferenze. Condividere e fissare con noi stessi una parte di quell’io intangibile che sentiamo, ma spesso non visualizziamo.
Ogni attimo è unico, non necessariamente il migliore, ma in tutte le frazioni di secondo possibili in cui possiamo fermarlo, la mente compie un esercizio notevole: emotivo, di preparazione, di attesa, di esclusione di tutto il superfluo a volta costringendoci a tagli improbabili come unica scelta per comunicare a noi stessi prima e poi agli altri chi siamo, cosa vediamo e soprattutto cosa sentiamo.
La tecnica aiuta, ma è l’occhio che deve vincere. Il bravo fotografo è quello che ha assimilato con pazienza, senza lasciarsene sopraffare, le nozioni tecniche che permettono di capire con l’obiettivo montato quale potrebbe essere la scena ripresa, ancora prima di portare la reflex all’occhio. Il sapere esattamente il risultato prima ancora di vedere attraverso il mirino, valutando l’esposizione, la profondità di campo, il taglio. La tecnica è a servizio dell’occhio ma non deve distrarlo, spesso ci si trova a confrontarsi con fotografi in cui la tecnica è tutto e si lasciano soffocare da questa. Le foto sono perfette, ma l’anima è andata perduta. L’estetica e la perfezione vincono sul contenuto, ci si distrae cercando di favorire lo scatto perfetto, impeccabile, come se il virtuosismo debba necessariamente prevalere sulla nostra orginalità visiva ed emotiva.
Personalmente ho sempre ammirato, quando l’ho trovato, l’amore per l’immagine degli autodidatti, di quelli che imparano la tecnica solo con la pratica, l’esperienza e infinita pazienza, lasciando sempre che il cuore prevalga, anche negli errori, nel mosso, nell’errata esposizione. Sono quelli che mostrano una parte di sé, incuranti degli errori, conoscendo i propri limiti, ma comunicando al mondo, attraverso la propria ricerca visiva, il proprio modo di vedere ed esistere.
[Stefano Corso]
(articolo apparso su www.rainews.it il 2 dicembre 2013)
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